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Libertà, amore e ribellione: al Rossetti va in scena Hair – La Nouvelle Vague Magazine

Un’edizione che si annuncia davvero pregevole, forte di un cast di una ventina di giovani talenti selezionati fra quasi 300 candidati e di un’ottima band dal vivo: saranno loro i portatori dell’universale messaggio di “Hair” nato dalla opposizione alla guerra nel Vietnam e dalla poetica degli hippie ma ancora oggi attuale, nella sua invocazione alla pacifica convivenza fra le genti e alla libertà.
Alla fine degli anni Sessanta “Hair”, che da lì a pochi anni sarebbe diventato un film, scosse profondamente l’opinione americana. Tra sesso, scandalo, droghe e musica rock il musical raccontava la storia di una ribellione, contro la tradizione, il conservatorismo e le guerre. E proprio i capelli rappresentano simbolicamente il rifiuto nei confronti della guerra: i capelli lunghi dei protagonisti del musical esprimono infatti il rifiuto di entrare a far parte dell’esercito americano.
Il musical debutta nel 1967 a New York in un teatro minore e poi, dopo 45 repliche, arriva a  Broadway. Numerose le messe in scena successive, da Los Angeles a Londra, a Sidney, fino ad arrivare a Roma, al Sistina dove i giovanissimi Renato Zero, Loredana Bertè e Teo Teocoli, con la regia di Victor Spinetti e l’adattamento dei testi di Giuseppe Patroni Griffi, portarono il rock, un cast multietnico ed il primo nudo in scena nel tempio dei musical più classici, per un grande e contestato successo.
Scatenata, coloratissima, emozionante, coinvolgente, quella di “Hair” – con il libretto e le liriche rispettivamente di James Rado e Gerome Ragni e le musiche di Galt MacDermot – è una storia senza tempo, una storia di amicizia, amore libero e pacifismo, ancora oggi simbolo della controcultura hippie, che porta messaggi tuttora sentiti: fratellanza, multiculturalità, libertà, come desiderio di spogliarsi di tutto per essere se stessi (come nella scena di nudo di fine primo atto), ambientalismo, lotta alle differenze sociali e sessuali e impegno civile, sono alcuni dei temi che ancora oggi risvegliano la coscienza dei giovani.
L’Era dell’Acquario sta per tornare, dunque al Politeama Rossetti dove dall’11 al 13 gennaio si respirerà aria di amore e libertà: la tribù dai capelli selvaggi si scatena, accompagnata dall’orchestra dal vivo, al ritmo di famosissime canzoni come “Aquarius”, “Hair” e “I Got Life”. 
Il regista Simone Nardini sottolinea come «Oggi, come allora, esistono ancora tanti Vietnam… e tanti giovani con la voglia di liberarsi dalla schiavitù commerciale della Società. Hair, spettacolo cult fine anni Sessanta, è più che mai l’ideale manifesto delle nuove generazioni che cantano l’alba dell’era dell’Acquario. Il mio tributo vuole rendere omaggio all’opera-rock simbolo del pensiero “hippie”. In quegli anni si formavano gruppi di ragazzi e ragazze che trascorrevano il tempo senza inibizioni e accompagnavano la protesta contro le sofferenze della guerra con il grido di “Sesso, droga e Rock’n’Roll”. “Hair il musical” con il suo folto cast, le musiche eseguite dal vivo, le coinvolgenti coreografie, il libretto in italiano ma le canzoni in lingua originale e la trasgressione irriverente dei sui contenuti, coinvolgerà ancora le platee a oltre cinquant’anni dal suo debutto a Broadway».
Lo spettacolo va in scena alla sala Assicurazioni Generali alle ore 20.30 dall’11 al 13 gennaio per il cartellone “Musical & Eventi”. Per biglietti e prenotazioni e per acquistare nuovi abbonamenti si suggerisce di rivolgersi alla Biglietteria del Politeama Rossetti agli altri consueti punti vendita, o via internet sul sito www.ilrossetti.it. L’ingresso in sala sarà consentito solo ai titolari di certificazione “Super Green Pass” dotati di mascherina Ffp2. Informazioni anche al numero del Teatro 040.3593511. 




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Zanussi e l'arte come laboratorio di inclusione sociale – La Nouvelle Vague Magazine

La mostra dal titolo “L’anima, la terra, il colore. Arte d’azione e di inclusione” è molto più di una semplice esposizione di opere artistiche: si tratta infatti di un progetto-laboratorio di inclusione sociale che fa parte di un ciclo espositivo di rassegne, ognuna diverse dall’altra, che ha visto un primo allestimento in una versione molto più ridotta nel 2020 a Tarcento e che dopo Trieste proseguirà a Monaco. 
Tanti gli enti che hanno reso possibili il progetto. In primis il Comune di Trieste attraverso: l’Assessorato alle Politiche della Cultura e del Turismo insieme all’Assessorato alle Politiche Sociali di Trieste, il Dipartimento Scuola, Educazione, Promozione Turistica, Cultura e Sport – Servizio Promozione Turistica, Eventi Culturali e Sportivi,i il Dipartimento Servizi e Politiche Sociali – Servizio Sociale Comunale – Servizio di Inserimento Integrazione lavorativo S.I.I.L.
L’iniziativa è svolta in collaborazione con: il Dipartimento Giustizia Minorile e di Comunità – Ufficio Distrettuale di Esecuzione Penale Esterna (U.D.E.P.E.) di Trieste e Ufficio di Servizio Sociale per Minorenni (U.S.S.M.) di Trieste; il Garante locale dei diritti delle persone private della libertà personale. Collaborano all’esposizione per quanto riguarda i percorsi di inclusione sociale: EnAIP FVG Trieste; Euro & Promos; con il supporto del Progetto finanziato dalla Cassa delle Ammende e dalla Regione autonoma Friuli Venezia Giulia: Lybra Società Cooperativa Sociale – ONLUS e Fondazione diocesana Caritas Trieste ONLUS. 

Saranno sei le persone del territorio (adulti e minorenni), alcune protagoniste di condotte illecite, che nel corso dell’esecuzione delle misure e sanzioni di comunità a cui sono soggetti, offriranno il loro contributo alla rassegna, in particolare  nei processi di diffusione e comunicazione della mostra oltre che nell’accoglienza dei visitatori. L’obiettivo di tale coinvolgimento è quello di restituire loro un ruolo di utilità sociale e di favorirne il reinserimento attraverso un’esperienza formativa e relazionale positiva nel mondo dell’arte a dimostrazione che l’arte può essere uno strumento potente di educazione alla legalità. 

Toni Zanussi è nato a Qualso in provincia di Udine l’11 settembre 1952. Rimasto precocemente orfano dei genitori, si è imbarcato giovanissimo su navi da crociera. È lì, nel corso dei suoi innumerevoli viaggi, che la sua personalità artistica si è formata. Mondi e culture nuove, incontri e solitudini, lavoro e pittura costituiscono il suo apprendistato.
Fino alla consapevolezza che il luogo ideale per far giungere a piena maturità la sua arte è nel silenzio delle montagne friulane, dove attualmente vive.
Zanussi si ispira alla natura e ai suoi cambiamenti, ai colori e alle atmosfere che mutano con l’alternarsi delle stagioni. Immerso nei boschi del monte Stella a Tarcento (UD), è qui che l’artista ha costruito il suo studio-atelier, un luogo ospitale, sempre aperto a curiosi e amici.
“Pittore della cosmogonia e della contaminazione tra materia e realtà sociale, artista del recupero degli sprechi e poeta” come lo ha definito Gillo Dorfles, Zanussi raccoglie da oltre quarant’anni sempre crescenti successi, le sue opere sono state raccontate da tanti scrittori ed intellettuali ed esposte in giro per il mondo, da Venezia fino a Parigi.

Dalle tavole ai bidoni e alle casse dipinti con colori vivaci e solari e con i temi del sogno che raccontano di viaggi lontani, nei territori della mente e del fantastico, attraverso lavori dalle forme più diverse ed affascinanti: rettangolari, circolari, a ogiva, realizzati su diversi supporti come sostegni MDF, il legno grezzo delle casse, il metallo dei grandi bidoni.
«La rassegna – spiega la curatrice Marianna Accerboni –  testimonia, in una sorta di orizzonte di luce e di cromatismi accesi, eleganti e al contempo sobri, l’universo creativo e la sperimentazione svolta dal pittore friulano Toni Zanussi negli ultimi trent’anni. In mostra compare un’ampia selezione di opere che raccontano il suo immaginario, stilato secondo una cifra molto personale, armonica e sottilmente dinamica: una pittura sgorgata dal cuore di un artista dal gesto pittorico incantato. 
Luminosi e talvolta in controluce, com’è spesso la vita, i suoi lavori ci parlano dell’esistenza reale, trascendendola e idealizzandola attraverso simbolismi iconici e di speranza. In tal senso, sotto il profilo critico, la sua opera si colloca nell’ambito di quel filone espressivo orientato a un’interpretazione della realtà arricchita da suggestioni oniriche, fantastiche, metafisiche e surreali, che ha caratterizzato, in nome della libertà, buona parte dell’arte e persino dell’architettura del Novecento e contemporanea, a partire da Mirò per arrivare alle forme organiche dell’architetto statunitense Frank Gehry”. »
Il pubblico potrà così godere di molti suoi lavori, alcuni dei quali inediti: dal recente “Totem omaggio a Mostar” del 2020 che supera, in diagonale, i tre metri, al trittico formato dalle tre opere di forma ogivale “Cosmogonia”, “Cosmogonia nero terno” e “Cosmogonia rossa” del 1994.
Un’arte dove il male è dissacrato, esorcizzato e superato attraverso composizioni dai colori vivaci, quasi allegri per portare lo spettatore in una realtà altra, una fuga verso la speranza come nella serie più recente incentrata sul tema della pandemia da Covid-19, che l’artista chiama “invisibile creatura”, e ai lirici voli cromatici su Sarajevo e Mostar, che ricordano la tragedia della guerra o quella dell’Afghanistan.  

Per Toni Zanussi l’arte è impegno artistico, riscatto per tutti gli umili, i poveri, gli abbandonati, gli scartati della terra ed è anche strumento, linguaggio, metodologia per esprimere il suo impegno civile. A corredo di ogni sezione della mostra in corso a Trieste, un testo allude alle pene, alla detenzione e alla possibilità di redenzione attraverso la giustizia riparativa, tema trasversale alla mostra e molto sentito dall’artista: la speranza.





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"Lo Schiaccianoci" torna a incantare Trieste – La Nouvelle Vague Magazine

E quella dello “Schiaccianoci” è certamente una delle fiabe più belle di sempre, ma le parole sfumano in note musicali sugli spartiti. Non c’è nessun cantastorie a narrare l’intreccio, il quale si genera davanti ai nostri occhi in un mosaico di melodie, costumi, scenografie e grandi ballerini.
Ultimo dei tre meravigliosi balletti musicati da Pëtr Il’ič Čajkovskij, “Lo Schiaccianoci” è una gemma del patrimonio del balletto classico russo. Dopo “Il lago dei cigni” nel 1877 e “La bella addormentata” nel 1890, il 18 dicembre 1892 “Lo Schiaccianoci” debuttò al Teatro Mariinskij di San Pietroburgo.
Le indimenticabili coreografie vennero elaborate da Marius Petipa e Lev Ivanov. Il rinomato coreografo Petipa aveva infatti intrecciato una collaborazione prolifica con Čajkovskij, curandone anche i due balletti prima citati. Fu poi lo stesso Marius Petipa a occuparsi del libretto basandosi sulla fiaba di E.T.A. Hoffmann.
La storia narra della piccola Clara, che la sera della vigilia di Natale riceve un dono molto speciale: uno schiaccianoci a forma di ussaro. Quella stessa sera, allo scoccare della mezzanotte, avviene la magia. Clara all’improvviso si rimpicciolisce e viene attaccata da un’orda di topi malvagi. Arrivano, però, lo schiaccianoci e altri balocchi, che nel frattempo hanno preso vita, e riescono a sconfiggere Re Topo.
È così che lo schiaccianoci si trasforma in un principe in carne e ossa e accompagna Clara nel Regno dei Dolci. Lì incontrano personaggi magici e fatati, finché non arriva il momento per la bambina di tornare alla realtà. La storia termina quindi con Clara che si risveglia a casa sua, stringendo a sé il piccolo schiaccianoci.
“Lo Schiaccianoci” è ormai rinomato come uno dei capolavori russi e mondiali del balletto, nonché radicata tradizione natalizia. Non è la prima volta che l’opera viene ad incantare Trieste, essendo stata rappresentata più volte in passato sia al teatro Rossetti che al Verdi.
Quest’anno è niente poco di meno che la compagnia del Russian Classical Ballet a portarlo in scena, in una produzione in cui tutto è curato fin nei minimi dettagli. Impeccabili e dotati di una potente leggiadria, i ballerini sono stati selezionati fra i diplomati nelle prestigiose scuole di ballo di Mosca, San Pietroburgo, Novosibirsk e Perm.
Esemplare è l’attenzione con cui il Russian Classical Ballet conserva il patrimonio del balletto russo, lasciando però spazio alla personalità unica di ogni interprete e concedendosi perfino qualche momento di comicità. In questo modo la narrazione, solidamente basata sulla tradizione di Čajkovskij, appare colorata dalle mille sfumature degli interpreti e ancora più godibile per il pubblico.
La scenografia imponente e meravigliosamente dipinta crea un’atmosfera d’incanto, mentre i costumi di Evgeniya Bespalova sono eccellenti, raffinati e sfolgoranti nella loro giostra di colori sgargianti e brillantini.
Una nota di merito va anche alla cura delle luci, sapientemente variegate in colori e calore nel costruire le diverse scene del balletto: dalla calda e conviviale atmosfera della festa a casa di Clara al momento terrificante e surreale dell’arrivo dei topi.
Il Russian Classical Ballet ha quindi portato alla vita in maniera impeccabile un balletto che con il suo incanto fiabesco, la magnifica musica e le eccezionali coreografie emoziona da più di un secolo generazioni intere di adulti e bambini. Certamente non c’era modo migliore per il Rossetti di augurare un buon Natale a tutto il suo pubblico.




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"Un Dono di Natale": musica e danza sotto l'albero – La Nouvelle Vague Magazine

Natale è alle porte, sebbene l’assenza di neve e il covid incombente tentino di farcelo scordare. Tuttavia, è bastata la magica serata del 19 dicembre al teatro Rossetti ad accendere l’atmosfera natalizia.
C’è chi a Natale gioca alla tombola, chi mangia il panettone, ma la tradizione migliore sta nello scambiarsi gentilezze più che pacchetti regalo. Interpretando al meglio il vero spirito della festa, il Rotary International e il Lions International hanno collaborato con il Rossetti per preparare un dono molto speciale.
Ed è così che nasce il magico concerto di beneficenza “Un Dono di Natale”. Concerto il cui ricavato sarà poi devoluto all’Ospedale Infantile “Burlo Garofolo”, che potrà così avvalersi di una nuova ed efficiente apparecchiatura per il reparto di radiologia.
Il sipario si alza rivelando la FVG Orchestra illuminata da una luce soffusa e un meraviglioso albero di Natale proiettato sullo sfondo. Ci troviamo, quindi, subito catapultati in un’atmosfera gioviale e festosa, in cui si inserisce perfettamente la raggiante presentatrice della serata, Daniela Ferletta.
Accanto a lei ci sono il grande direttore d’orchestra Alessandro Vitiello e l’eccellenza del mondo della lirica Daniela Barcellona.
Splendido mezzosoprano e orgoglio triestino, Daniela Barcellona ha girato il mondo, dal Teatro alla Scala di Milano al Metropolitan di New York, tornando a casa per incantarci in quanto madrina della serata. Il suo ruolo però è duplice, presentandosi anche come fata madrina dei giovani talenti che vanno a esibirsi nel corso dell’evento.
Parliamo di Alberto Olivo al pianoforte, del mezzosoprano Kimika Yamagiwa, del soprano Claudia Mavilia e della violinista Giada Visentin. Daniela Barcellona sa che molti giovani hanno visto i propri sogni sfumare durante il lockdown e appare quindi entusiasta di poter far risplendere queste giovani stelle. In loro rivede un po’ della sé stessa di un tempo, le sue vecchie paure, i suoi dubbi, le sue gioie.
Certamente il pubblico vi ha notato anche tanto talento, dedizione e una magnifica passione.
In un viaggio emozionante da Puccini a Bizet a Hoffenbach, cominciamo con Alberto Olivo che esegue meravigliosamente le variazioni sinfoniche di César Franck. Ci sono poi una brillante Kimika Yamagiwa con “Cruda sorte” da “L’italiana in Algeri” di Rossini, Giada Visentin che esegue appassionatamente “Introduzione e Rondò Capriccioso” di Saint-Saens, la meravigliosa Claudia Mavilia nei panni di Mimì in “La Bohème” di Puccini e molto altro ancora.
Una nota di merito va alla giovanissima soprano Mavilia che ha saputo costruire un’atmosfera sognante con la sua tenera interpretazione, incantando il pubblico a tal punto da essere richiamata in scena una seconda volta per godersi gli applausi scroscianti.
Non c’è quindi da stupirsi che queste quattro promesse del mondo della musica abbiano riscosso successi a livello nazionale e internazionale. Anche la stessa Daniela Barcellona ci fa dono della sua splendida voce con l’”Habanera” dalla “Carmen”, vivace ed espressiva come solo lei sa essere.
E si esibisce perfino in un irresistibile duetto con le sue colleghe Yamagiwa e Mavilia.
Tra un’esibizione e l’altra seguiamo il fiabesco filo rosso dello Schiaccianoci di Tchaikovsky. Mentre la FVG Orchestra esegue con la consueta maestria le musiche del balletto che ha fatto da colonna sonora a così tanti Natali, la danza riempie il palcoscenico.
In un tripudio di colori, entrano in scena i giovani e giovanissimi allievi di alcune scuole di ballo guidati da un personaggio d’eccezione: il ballerino Angelo Menolascina del corpo di ballo dell’Arena di Verona. Sono poi tre i solisti dall’incantevole grazia: Luisa Spina, Fabiana Miceo e naturalmente Angelo Menolascina.
Il gran finale arriva con la prima esecuzione assoluta di un soave canto di Natale composto da Marco Taralli, con i testi di Pino Roveredo e la partecipazione dei Piccoli Cantori della città di Trieste.
La magia del Natale prende quindi forma in un turbinio di celestiali melodie e stupende emozioni per un’iniziativa così nobile come quella promossa con “Un Dono di Natale”.




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La “donna” di Klimt, un modello di carnalità e autoaffermazione sociale – La Nouvelle Vague Magazine

“L’arte di Klimt è antipatica al nostro tempo perché l’oltrepassa e prepara il tempo di domani”. È di Nino Barbantini, direttore della Galleria Internazionale di Ca’ Pesaro, la connotazione forse più calzante dell’arte di Gustav Klimt, esposta al Museo di Roma fino al 27 marzo 2022 nell’ambito della mostra “Klimt. La Secessione e l’Italia.” Un andirivieni continuo tra Vienna e Roma e il clima di brulicante energia intellettuale che attraversava le due capitali, di cui Klimt fu un assoluto pioniere. Le sue opere furono esposte sia alla Biennale Internazionale d’arte di Venezia nel 1899 che all’Esposizione Internazionale di Belle arti a Roma nel 1911 dove l’artista che, con la Secessione Viennese, diede un impulso rivoluzionario al ruolo dell’arte nella società, diede prova della sua cifra fortemente anticonvenzionale, ritenuta per questo “scandalosa”.
Klimt non è pittore da arginare in confini di facile e rassicurante lettura e dopotutto le sue muse, donne quasi epifaniche a metà tra creature allegoriche e carnalmente sensuali, sembrano vestali di un nuovo mondo dove l’inquietudine femminile e l’autodeterminazione dei ruoli sessuali viene finalmente non più taciuta ma “messa in scena”.
Emblematica a tal proposito la sua Giuditta, un dipinto allegorico, stilistico e realistico dove l’eroina biblica che stringe tronfia e sensuale, al contempo, tra le mani, la testa di Oloferne sembra tratteggiare una nuova idea di donna che sprigiona autoaffermazione sociale e sessuale.
Ciò che forse più destabilizza della sua arte e la rende “di frontiera” come quella dei maggiori avanguardisti è la polivalenza di significati sovrapposti che assomigliano molto più a un’incessante ricerca espressiva e simbolica piuttosto che a un messaggio maturo.
Una “composizione” che non a caso si sublima nel grande omaggio ad un altro grande compositore d’arte, musica in questo caso. Nel Fregio di Beethoven lungo più di 34 metri, alto due metri e occupante tre pareti di una stanza laterale, presentato alla XIV mostra della Secessione Viennese nel 1902, Gustav realizza un dipinto in omaggio alla nona sinfonia del grande compositore.
L’opera rappresenta una delle attrazioni principali della mostra, non solo per le sue dimensioni, ma per quella capacità di fondere ideale, allegoria, decorazione e esegesi musicale.
Il pittore viennese continua a sorprenderci nell’esecuzione di ritratti borghesi che malcelano le inquietudini femminili e in quell’erotismo brandito con maestria per solleticare il gusto onirico e inconscio dello spettatore ed elevarlo verso i suoi ideali.
In questo è estremamente moderno, come voleva il manifesto della Secessione Viennese, di cui Gustav fu il presidente: avvicinare l’arte alla modernità attraverso stili presi in prestito anche dall’architettura e simboli di grande potenza evocativa che aprano le porte su una costante dialettica tra aspirazioni profondamente umane, l’arte, la società.
Gustav Klimt mette al centro della sua arte la donna che recupera una sensualità fortemente autoconsapevole e matura, di cui è padrona senza mai diventarne schiava o feticcio.
In fondo, la mostra “Klimt. La Secessione e l’Italia” è anche questo: un auspicio di femminilità assertiva e libera, in cui riconoscersi.




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“Tu chi sei?”: Gian Carlo Fantò porta l'Alzheimer a teatro – La Nouvelle Vague Magazine

Gian Carlo Fantò interpreta Massimiliano, un brillante architetto, affetto dai primi segni (irreversibili) dell’Alzheimer. Una malattia che l’attore e regista ha cercato di comprendere al meglio, soprattutto nell’infinità gamma di sguardi e piccoli gesti, utilizzando con disinvoltura il linguaggio non verbale, per restituire al pubblico il senso di quotidiano spaesamento che questa malattia provoca in chi ne viene colpito, ma ancora di più nelle persone che scelgono di restare al malato.
Patrizia Driusso, nei panni di Lucrezia, moglie inconsapevole e tradita, è l’emblema di quell’amore tanto devoto quanto imperfetto, che evolve in un percorso che attraversa (parallelamente a suo marito) varie fasi (dal disorientamento, al rifiuto fino alla amara consapevolezza), sempre sostenute da una profonda e convinta dedizione verso la vita coniugale.
Ad affiancare la coppia, due personaggi che risultano esplosivi nella loro antieroica ambiguità: Paolo (Giulio Liberati), l’amico di sempre, sciupafemmine  per vocazione, e Francesca (Antonella Menzato), il cui ritorno da Parigi destabilizza non poco l’equilibrio della coppia formata da Massimiliano e Lucrezia, rinsaldandone al tempo stesso l’unione.
A dispensare qualche piccolo consiglio per tutti c’è Martina Bracali, nel ruolo della dottoressa responsabile della struttura dove si trova in cura il protagonista. Anche per lei, che sembra destinata a trascorrere un’esistenza opaca, interamente dedicata al lavoro, arriverà il momento di mettere in discussione le proprie certezze, soprattutto grazie al goffo corteggiamento da parte di Paolo.
La semplice scenografia, composta da un tavolo, poche sedie una libreria e un attaccapanni rende adeguatamente l’idea del luogo dove agiscono i protagonisti, ovvero una struttura di lungodegenza specializzata nella cura dell’Alzheimer.
La commedia affronta temi seri, non rinunciando comunque a un ritmo sostenuto; un apprezzamento particolare va, infine, alle melanconiche note del cantautore e chitarrista francese Francis Cabrel, scelte in maniera davvero azzeccata come colonna sonora dello spettacolo.




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