Comincium, così si intitola lo spettacolo, riparte da dove ci eravamo lasciati. Sì, da dove ci eravamo lasciati tutti: da un palco, da un abbraccio e dal ritrovarsi di artisti e un pubblico attento a condividere risate e riflessioni. Si, perché accanto all’ormai amata e iconica panchina, che è un po’ il loro marchio di fabbrica, si sviluppano riflessioni sull’attualità. Ecologia e inquinamento, il chilometro zero; riflessioni sull’amore che non conosce età e sulle crisi di mezza età. Ma anche riflessioni di attualità come quella riguardante la guerra. Ad aiutare a sviluppare queste riflessioni e a dare ancora maggiore profondità ai messaggi il Teatro canzone di Jannacci, Cochi e Renato e Giorgio Gaber. Messaggi come “Libertà è partecipazione” espressi attraverso i musicisti, che Ale Franz definiscono la spina dorsale dello spettacolo: Luigi Schiavone alla chitarra, Fabrizio Palermo al basso, Francesco Luppi alle tastiere e Marco Orsi alla batteria. Se l’amore bussa…Tu chiudi con due mandate L’ulteriore novità, è Alice Grasso, che li affianca sia negli sketch comici che nei numeri musicali e si distingue per potenza vocale. “Per ventisette anni non avevamo mai diviso il palco con nessuno” Senza tema di smentita valeva la pena aspettare lo strappo alle regola con un talento simile. Eccoci qui… Sembra passato un secolo. I ricordi del sipario che si apre, i fari che si accendono, i vostri sorrisi, gli applausi. Il teatro. La nostalgia di quella atmosfera di complicità, che ci avvolgeva tutti quanti, dal palcoscenico alla platea rendendoci partecipi, ogni sera, di un momento unico ed irripetibile: lo spettacolo. Sembra passato un secolo. Rieccoci qui. Ricominciamo…
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Ne La Divina Commedia Opera Musical, Dante è in viaggio, su binari distinti e paralleli: da una parte cammina verso e dentro se stesso alla ricerca nostalgica del proprio esistere, dall’altra naviga tra le rovine della dannazione, le storture e le brutture del proprio limite, condotto tra vizi e ossessioni, perversioni e peccati. Lo spettacolo utilizza diversi linguaggi espressivi e asseconda l’inesauribile fantasia di Dante. Il Dante Viaggiatore in scena diventa la proiezione fisica della voce di se stesso, che nella magistrale interpretazione di Giancarlo Giannini (esclusiva voce narrante dello spettacolo), rappresenta la maturità di un Dante che si ricorda con tenerezza, quando a metà della propria esistenza, spinto da una forte depressione, trova nella scrittura una salvezza creativa e fertile. Lo smarrimento nella selva diventa evocazione di una memoria: pretesto fortunato e ispirazione per il capolavoro che viene “sfogliato” in scena, come un libro animato, attraverso la magia teatrale. Dante si muove in molteplici ambienti scenici, nei quali passa da coltri infuocate e sulfuree della Città di Dite a tempeste desolate e violente che colpiscono Francesca; da mari tempestosi e mortali, come quello di Ulisse a foreste pietrificate e mortifere, o a laghi ghiacciati, nei quali si trovano Pier delle Vigne prima ed Ugolino poi. Il viaggio non ha mai fine e il maestro Virgilio accompagna il poeta di Firenze, proteggendolo, incoraggiandolo, esortandolo nei momenti di maggior difficoltà. Gli ambienti che si susseguono si fanno sempre più tranquilli: boschi dai colori autunnali, come quelli di Pia dei Tolomei, o fiabeschi, come il giardino di Matelda. Infine, luminosi e celestiali, come quelli che attendono Dante in occasione dell’incontro con Beatrice.
di Gianmario Pagano e Andrea Ortis Antonello Angiolillo nel ruolo di Dante Andrea Ortis nel ruolo di Virgilio Myriam Somma nel ruolo di Beatrice e Federica Basile, Antonio Melissa, Angelo Minoli, Noemi Smorra, Antonio Sorrentino
Orario: dal mercoledì al venerdì ore 20.45 sabato ore 16.00 e ore 20.45 domenica ore 17.00
Memorie antiche con il teatro mobile. Drammaturgie d’ascolto e nuove percezioni Presentazione del catalogo realizzato in occasione della mostra Uno spettacolo travolgente Uno spettacolo pieno di sarcasmo e divertimento Lo spazio restituito al quartiere Tor Pignattara, inaugura la sua prima stagione teatrale Una riflessione sulla predisposizione alla bontà d’animo che quasi sempre cozza con l’istinto animale Il multiforme performer toscano darà sfogo a tutta la sua creatività con un il suo stile unico e variegato L’orecchio di Dionisio. L’ascolto e la voce La pièce che fa impazzire il mondo In occasione della rassegna “Roma racconta Pasolini” Scopri gli eventi del weekend a Roma, iscriviti alla newsletter con i migliori eventi in programma. Oggi Roma è la guida più completa per scoprire gli eventi culturali a Roma. Il calendario eventi a Roma sempre aggiornato comprende spettacoli nei teatri, concerti, mostre, visite guidate, film nei cinema di Roma e tanti altri appuntamenti culturali anche per bambini e famiglie. Cerca gli eventi a Roma in agenda e se vuoi rimanere aggiornato iscriviti alla newsletter settimanale. Iniziativa di Novacomitalia S.r.l.P.IVA 07609981001 Scopri i migliori eventi in programma a Roma, iscriviti alla newsletter!
La storia si apre con una coppia di gentili zie rinomate in tutto il quartiere per le loro opere di carità, cose come preparare il brodo per gli ammalati, offrire giocattoli agli orfani e talvolta anche commettere qualche omicidio. Le nostre due zie, Marta Brewster e sua sorella Abby, scelgono le loro vittime con cura, ossia tristi uomini soli al mondo, per poi molto caritatevolmente avvelenarli e seppellirli in cantina. Un vero e proprio gesto di compassione, almeno a detta delle due. E queste deliziose vecchine non sembrano turbate neanche dal fatto che uno dei loro tre nipoti, l’affascinante Mortimer Brewster, un giorno trovi per caso il cadavere del loro ultimo ospite. Da qui comincia una serie di peripezie da parte del povero Mortimer per nascondere il segreto delle zie. La situazione, poi, sembra complicarsi quando entra in scena Jonathan Brewster, il fratello di Mortimer, losco figuro tornato a casa dopo anni, a sua volta con un raccapricciante segreto. Il mondo intero stava affrontando gli esordi della Seconda Guerra Mondiale, e il drammaturgo statunitense Joseph Kesserling stava scrivendo una commedia che sollevasse lo spirito della gente. Una commedia che potesse permettersi di toccare temi complessi e dibattuti come la morte, la moralità e forse persino l’eutanasia con humour. Apprezzata dal pubblico fin da subito, “Arsenico e vecchi merletti” debuttò a teatro nel 1941 a New York, ma fu tre anni più tardi che raggiunse l’apice della fama con la pellicola diretta da Frank Capra e con l’inimitabile Cary Grant. Riportare sulle scene teatrali un’opera tanto amata sul grande schermo potrebbe quindi essere rischioso, ma la versione del regista Geppy Gleijeses supera la prova a pieni voti. “Arsenico e vecchi merletti” è uno spettacolo fatto di contraddizioni e di chimica, un mosaico in cui la comicità brillante viene spinta agli estremi, ma dove trovano posto anche un giallo da brividi e il tutto viene ben amalgamato da un pizzico di romanticismo. Bisogna saper orchestrare con maestria tutte queste sfumature e Gleijeses riesce a mantenere un equilibrio incredibile, senza mai eccedere in un senso o nell’altro. Non per niente il regista aveva già portato in scena questa commedia, con la regia di Mario Monicelli, all’inizio degli anni Novanta, e la lunga storia d’amore tra artista e opera ha sicuramente dato i suoi frutti. Cruciale è anche l’interazione tra gli attori, che instaurano tra loro un’armonia vincente e sostengono un ritmo perfetto in ogni scena. Le grandi Anna Maria Guarnieri e Marilù Prati (subentrata nel ruolo a Giulia Lazzarini), colonne del teatro e del cinema italiano, sono fenomenali nei panni delle due zie. Incarnano in tutto e per tutto lo spirito ossimorico dell’opera, deliziose eppure eccentriche e dirompenti, capaci di uno humour naturale ed esilarante. Leandro Amato è Mortimer Brewster ed è anche il motore scoppiettante dell’ingranaggio comico dello spettacolo. Amato dà al personaggio tutto sé stesso: catalizza l’attenzione pur mantenendo un sano equilibrio con il resto del cast e riesce a riempire il palcoscenico dando prova di un’espressività irresistibile. Luigi Tabita è invece un Jonathan Brewster da brividi, una perfetta controparte per il solare Mortimer. Dall’inquietante camminata alla voce cavernosa, Tabita fa vivere il personaggio a 360 gradi, lasciandogli spazio per una vena di comicità, ma senza perdere la sua dimensione di mostruoso antagonista, che crea un contrasto stupendo con il resto dei personaggi. Esilaranti anche Totò Onnis, Tarcisio Branca e Maria Alberta Navello, rispettivamente nei panni di Teddy Brewster, il secondo fratello di Mortimer, Dottor Einstein, l’eccentrico complice di Jonathan, e Giulia Stone, la frizzante fidanzata di Mortimer. I tre hanno portato sul palcoscenico delle interpretazioni piene di vita, fondamentali tasselli per il ritmo dello spettacolo. “Arsenico e vecchi merletti” è quindi una commedia che contiene moltitudini, come direbbe Walt Whitman. Una commedia ricca di sfaccettature, che si fonda sulla contraddizione, esilarante e irriverente, ma che alla fine può portare anche a qualche riflessione, e la versione di Geppy Gleijeses ha saputo rendere tutto ciò. Con un ritmo costruito a regola d’arte e delle interpretazioni stupende, questa versione di “Arsenico e vecchi merletti” si costruisce un’identità forte e originale che sa tenere testa al capolavoro del ’44.
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Vero è che il teatro, con quella sua imprevedibile immediatezza e quella condivisione umana insostituibile, è il mezzo per eccellenza per esaltare – o affossare – le doti di un attore. Bisio non delude le aspettative e, in scena al Politeama Rossetti, conquista il pubblico con “La mia vita raccontata male” di Francesco Piccolo per la regia di Giorgio Gallione. Fino a qua potremmo dire che tutto ciò non ci meraviglia. La vera sorpresa, però, è la combinazione dei vari elementi che compongono lo spettacolo: le chitarre dal vivo di Marco Bianchi e Pietro Guarracino che si intrecciano e diventano un tutt’uno con la recitazione di Bisio, intensificandone l’effetto ipnotico sul pubblico. Il testo del pluripremiato Francesco Piccolo – già sceneggiatore con Nanni Moretti, Paolo Virzì, Marco Bellocchio tra i tanti- magistralmente orchestrato dalle doti affabulatrici di Bisio. In maniera accattivante, con quel magnetismo che ti tiene agganciato dall’inizio alla fine, ti fa ridere, ma proprio tanto e ti fa tornare indietro nel tempo, con un sorriso nostalgico. Anche se quei ricordi che si dipanano tra il Carosello e Mara Venier, tra i mondiali di calcio e le prime cotte non sono tuoi, non puoi fare a meno di identificarti e ricercare quelle stesse emozioni. E mentre ridi a crepapelle, ecco che “La mia vita raccontata male” si presenta come un viaggio in cui ogni ricordo ci fa pensare a quanto ogni passo che abbiamo fatto in questa vita, ci ha portato esattamente al punto in cui dovevamo essere. Il tempo e l’esperienza portano una luce diversa in quel cammino che tutti facciamo ma che nessuno sa a dove porta finché non ci si arriva. Perché la vita è imprevedibile, nel bene e nel male: un mosaico di idee, scelte, errori, sfide, incontri che forse “col senno di poi” non avremmo voluto fare ma che, come spiega Francesco Piccolo – «[..] alla fine ognuno di noi è fatto di un equilibrio finissimo di tutte le cose, belle o brutte; e ho imparato che – come i bastoncini dello shangai – se tirassi via la cosa che meno mi piace della vita, se ne verrebbe via per sempre anche quella che mi piace di più». Così il pubblico si trova ad abbracciare ogni ricordo con quel sorriso bonario e con quella leggerezza di chi pensa – il signor Piccolo e il signor Bisio mi perdoneranno lo spoiler – “Che sarà mai!” “La mia vita raccontata male” è in scena ancora il 9 febbraio alle ore 20.30 al Politeama Rossetti: ultima possibilità per vederlo ma, se ve lo doveste perdere, non mi verrebbe da dire “Che sarà mai” ma “Che gran peccato!”.
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Disponibile per tutti dal 21 gennaio,Con Permesso è il quinto disco dell’irriverente coppia Cecco e Cipo, il duo toscano che ha conquistato il pubblico italiano durante l’ottava edizione di X Factor con una performance a dir poco originale. Arrivato a tre anni di distanza dal precedente lavoro discografico, Con Permesso consegna 10 brani figli di una poetica rinnovata, portata avanti con lo stile sincero, acuto e mai banale del duo, ed inaugura una stagione di rinnovata produzione creativa per il duo.
Con quasi 6 milioni di stream su Spotify e centinaia e centinaia di concerti in tutta la penisola, Cecco e Cipo negli anni si sono fatti conoscere e apprezzare da un pubblico sempre più ampio grazie alla loro peculiarità: l’arte del racconto, un talento innato per lo storytelling che li contraddistingue fin dagli esordi, portato avanti nei loro brani attraverso formule sempre pungenti e ironiche. 1) Oramai siete nel mondo della musica da molto tempo. Quanto è cambiato il vostro lavoro e quanto è cambiato il duo Cecco e Cipo dai tempi de La Canzone di Boe?
Beh, siamo sicuramente più ingrassati, più invecchiati, abbastanza consapevoli che non diventeremo mai dei grandi calciatori e il mondo fuori sta andando a rotoli ma per fortuna c’è questa cavolo di musica che ci distrae e fa sembrare tutto un po’ meglio. A livello artistico siamo cambiati molto, per forza di cose, sono passati tanti dischi e tanti concerti e le esigenze, le passioni, le prospettive cambiano, così come il suono. Questo disco è sicuramente una piccola svolta rispetto al passato a livello di suono, c’è una ricerca più approfondita, e un’attenzione più accurata al dettaglio. La cosa che cerchiamo di mantenere è la sottile ironia con il quale proviamo a raccontare le nostre cose, anche quelle serie. 2) Con Permesso è il vostro quinto disco, un risultato veramente eccezionale. Secondo voi qual è la vostra caratteristica che il vostro pubblico ama di più?
La maggior parte del nostro pubblico ci ama perché ci ha visto live, non perché siamo bravi, ma perché credo sia uno spettacolo particolare. Giochiamo molto sull’improvvisazione, e nascono delle scenette molto surreali tra me e Cecco, a volte sembra magia, ma non lo è, non so cosa sia. Per il resto credo che la cosa che colpisce di più sia la freschezza e genuinità con il quale proviamo a fare le cose, senza troppe pretese, senza cercare di assomigliare a qualcos’altro, cercando di rimanere semplicemente noi stessi, sia fuori che sopra il palco. 3) Rimanendo su Con Permesso, come è stato lavorarci durante il periodo di pandemia? Il lockdown ha influenzato in qualche modo il vostro stile e ciò che volevate trasmettere?
Per quanto mi riguarda (Cipo) mi ha salvato dalla depressione e dall’ansia, ne soffro molto in periodo particolari e buttarmi a capofitto nella scrittura dei brani, nella ricerca del suono, da mattina a sera, per due mesi, mi ha salvato. Il lockdown ha influenzato lo stile perché ci ha regalato del tempo in più per lavorare, e quindi più calma per trovare quello che stavamo cercando, e su questa cosa, ci è andata bene, anche se ci mancava comunque suonare live.
4) Sarò sincero, tra i brani del disco, non riesco a non amare più di tutti gli altri I due eschimesi dell’isola di Baffin. Per voi cosa rappresenta questo pezzo in particolare e soprattutto come vi è venuto in mente un titolo come questo?
Non sapevo semplicemente cosa dire, e l’ho cantato, sono arrivato al ritornello e ho deciso di farmela prendere bene senza un motivo preciso, e l’ho fatto, poi ovviamente ho girato intorno all’amore perché non riesco a non parlare d’amore. È nato da un periodo dove ero saturo di canzoni scritte, ma sentivo che dovevo dire ancora qualcosa, niente, e infatti l’ho detto. Per noi questo rappresentata la libertà d’espressione, di linguaggio, la freschezza, il non prendersi sul serio, ma anche la liberazione da un amore che mi stava tormentando da tempo. 5) Per concludere, come avete festeggiato il lancio del disco e quali saranno i prossimi passi per il 2022?
Il lancio del disco l’abbiamo festeggiato con una diretta con i nostri fan lanciando per terra il nuovo disco da una sedia e abbracciandoci. Prossimi passi, speriamo di tornare presto a suonare live, perché stiamo andando fuori di cervello. Abbiamo bisogno dei concerti, è l’unica cosa che ci faceva stare bene.
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“Hair” non può e non vuole lasciare indifferenti: è uno spettacolo intenso, apertamente e volutamente provocatorio, ora come 50 anni fa. Molti dei temi civili considerati allora trasgressivi hanno bisogno tuttora di essere ribaditi e difesi, come ricorda il regista Simone Nardini: la lotta alle differenze sessuali, la multiculturalità, il desiderio di esprimere ed essere stessi, al di la’ di ogni facciata o imposizione sociale, il diritto a vivere.
Lo capiamo subito dal filmato iniziale che raccoglie alcune immagini legate alla controversa politica americana di Donald Trump: a ricordarci che tutto ciò contro cui la cultura “hippie” si batteva, può tornare a far vacillare quanto costruito.
In “Hair” non è solo il messaggio di amore,pace e libertà ad essere potente ma lo è anche il cast di giovani promesse, tra cui si distinguono: Jacopo Siccardi che interpreta Berger, con una voce graffiante da vera rockstar e Stefano Limerutti, un intenso quanto combattutto Claude. L’interpretazione corale è potente e sinergica. La scelta di portare un’orchestra dal vivo e di mantenere le canzoni in lingua originale restituisce quella musicalità ruggente che caratterizza lo spirito rivoluzionario di un messaggio universale di amore, pace e libertà. Impossibile non farsi travolgere dalle note delle intramontabili “Aquarius” o “Let the sunshine in”, impossibile non sentirsi attratti dalla promessa di una nuova Era di rinascita, impossibile rimanere indifferenti al canto di ribellione della cultura hippie.
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